di Gianmaria Tammaro
La decisione di trasferirsi a Livorno, il rapporto con sé stessa; le lezioni dello sport nella vita di ogni giorno. Il silenzio prima delle gare, la passione per la lettura e il piacere della guida. Stare con gli altri ed essere, nonostante gli impegni e le responsabilità, una ragazza della sua età. L’infanzia a Porto Ercole, il legame che la unisce al suo gemello e ai suoi genitori. L’obiettivo di migliorare sempre, senza mai dare niente per scontato, e il documentario di Mattia Ramberti, al cinema dal 23 novembre al 6 dicembre. L’intervista.

Il colore preferito di Ambra Sabatini è l’arancione. Dice che le ricorda il tramonto. Quando vuole pensare, le piace guidare, visitare luoghi che non conosce e rimanere da sola. Ha una risata piena e contagiosa, mai forzata o eccessiva: è una parte del suo modo di parlare. Come una pausa o un intercalare ricorrente. In Ambra Sabatini – A un metro dal traguardo, il documentario di Mattia Ramberti al cinema dal 23 novembre al 6 dicembre con Adler Entertainment, non c’è solo la sua vita come sportiva; c’è soprattutto la persona che, in questi anni, è diventata. Viene raccontato l’incidente in cui ha perso la gamba, ma viene anche mostrata la tenacia che Sabatini ha sempre avuto. Per lo sport e per i suoi obiettivi. Dentro e fuori la pista.
A 23 anni, Sabatini si è trasferita a Livorno. Le piace leggere. Si è iscritta anche a un club del libro. Un paio di mesi fa, è andata in vacanza da sola, per dodici giorni, e ha attraversato la Corsica in van. Agli ultimi mondiali di atletica paralimpica in India ha vinto la medaglia d’oro. Quando si sveglia, balla. Dice che l’aiuta a scuotersi. Ultimamente ascolta gli ABBA, e quando le chiedo quanto dura la felicità lei mi risponde così: esattamente quanto una canzone degli ABBA.
Sabatini, a suo modo, è un’eccezione. E non per quello che ha vissuto o provato. O almeno, non solo. È un’eccezione per il modo in cui ha deciso di rialzarsi e di andare avanti. Ha imparato velocemente a tenere distinta la vita sportiva da quella privata. Altrimenti, spiega, ogni sconfitta sarebbe tremenda, senza via d’uscita. Si diverte a farsi le treccine prima di ogni gara, ma non si tratta di scaramanzia: la tranquillizza e la fa sentire sicura di sé. Il suo obiettivo, ora, è migliorare il proprio tempo ed essere pronta per le Olimpiadi di Los Angeles nel 2028.

Sei in vacanza in questo momento?
«Dopo i mondiali, ho preso una pausa e sono andata in vacanza, sì. Ora però sono tornata ad allenarmi».
Non si stacca mai davvero?
«No, diciamo di no. Nello sport devi avere una certa costanza. Non si può staccare per troppo tempo. E poi ti dico la verità: anche quando sono a riposo, la pista mi manca».
Ma ci sono dei momenti in cui ti piacerebbe staccare?
«A volte la fatica si accumula e un momento di riposo, come la domenica che è il mio giorno libero, serve sempre. Ma non riesco a stare troppo lontana dal campo, no».
Di solito come passi le domeniche?
«In questo momento sono a Livorno. Qualche volta vado dai miei, a trovarli, e altre volte sono loro che vengono da me. Quindi o trascorro il sabato pomeriggio e la domenica con la mia famiglia o resto qui a Livorno per uscire con gli amici, andare al cinema o al bowling».
Hai un appartamento o vivi in caserma?
«No, no. Ho un appartamento in affitto da più di un anno. Torno in caserma per raduni o per appuntamenti particolari. C’è ancora la mia stanza. Ci ho vissuto per quasi due anni e mezzo. È un periodo che ricordo con piacere, perché mi ha permesso di diventare l’atleta che sono adesso».
Tu, di fatto, sei nella Guardia di Finanza?
«Per ora come atleta. Funziona così: gli atleti entrano nel gruppo sportivo della Guardia di Finanza, si allenano e una volta finita la carriera sportiva possono rimanere a svolgere lavori di amministrazione sia nel campo dello sport che in caserma».
Come mai ti sei tinta i capelli di rosso?
«Il rosso è sempre stato un mio colore, anche in passato. Ogni tanto mi piace cambiare. Il rosso, poi, è un colore forte. Quest’anno mi ero fatta pure la protesi rossa, quindi ci stava (ride, ndr)».
Che cosa ricordi dell’infanzia a Porto Ercole?
«Sono stata fortunata a crescere in un paese come Porto Ercole. Ho sempre potuto fare sport all’aria aperta: la corsa in pineta, il nuoto in mare. La vicinanza con la natura è molto importante per me. A Porto Ercole ho cominciato a muovere i miei primi passi, e mi sono sempre sentita protetta».
Nel documentario di Mattia Ramberti, proprio all’inizio, ci sono alcuni video di quando eri piccola. Avevi una paura tremenda di Babbo Natale. Perché?
«(ride, ndr) Babbo e mamma facevano questa cosa strana di scambiarsi i ruoli. Babbo si vestiva da Befana e mamma da Babbo Natale e faceva sempre questo vocione... Ricordo che con mio fratello ci nascondevamo sotto il letto... Ne abbiamo tanti di quei filmati. Babbo ci riprendeva tantissimo quando eravamo piccini. Ci sono delle scene fantastiche. E comunque babbo quando si vestiva da Befana faceva molta più paura di mamma vestita da Babbo Natale».
Guardando il documentario ti sei riconosciuta?
«Sì, assolutamente. Penso che abbiano fatto tutti un lavoro incredibile nel raccontarmi. Ogni volta che mi capita di guardarlo noto sempre cose diverse, lati che non pensavo più di avere e che mi riportano a dei momenti che ricordo con piacere. È bello poterli condividere con tutti e far vedere quella che sono, la vera me».
Ci sono stati dei momenti durante le riprese in cui ti sarebbe piaciuto rimanere da sola?
«No, in realtà no. La troupe non è mai stata insistente o fastidiosa. Anzi. Erano tutti ragazzi della mia età. Durante gli allenamenti ci sta, poi, essere un po’ più tesi per la stanchezza. Ma quello è normale: è solo un momento, passa subito».
Che cosa ascolti quando vai ad allenarti o prima di una gara?
«In campo niente, devo concentrarmi. La mattina, però, metto sempre un po’ di musica. Ultimamente ascolto molto gli ABBA (ride, ndr)».
E quando vai alle gare, invece?
«Dipende molto da come mi sento. A volte, mi capita di ascoltare colonne sonore. In particolare c’è questo brano, Arrival of the Birds, che è veramente stupendo».
Quando corri i 100 metri, come percepisci il passare del tempo? Va più velocemente o più lentamente?
«Dipende molto dalla gara. Quelle più importanti mi lasciano delle sensazioni nette, chiare. Durante i mondiali, per esempio, ho sentito la consapevolezza del momento. I 100 metri sono una gara velocissima e ti convinci di non avere il tempo per pensare a niente».
E invece?
«Invece non è così. Quando corro c’è sempre una sorta di vocina interiore che mi parla. Durante la corsa dei mondiali, guardando le ragazze che mi sono passate davanti alla partenza, continuava a ripetermi la stessa cosa: le riprendi, ce la fai. Insomma, una gara la vivi al massimo anche internamente».
E tutto il resto – le persone sugli spalti, i rumori, chi ti guarda – tende a scomparire?
«Sicuramente non è la prima cosa a cui pensi. Però c’è sempre tutto, costantemente. E l’essere in uno stadio pieno di persone ti carica tantissimo. Non ci fai caso, non ci pensi tanto; però allo stesso tempo spingi di più».
Credi che l’impegno dello sport, con i suoi ritmi e la sua competizione, possa creare una distanza con gli altri? Con i tuoi coetanei, per esempio.
«Assolutamente no. Una volta che sono fuori dal campo, che ho finito di allenarmi o di correre, penso a tutt’altro. O almeno, ecco, non penso solo allo sport. So dividere abbastanza bene la mia vita privata dalla mia vita sportiva. Credo, anzi, che sia fondamentale. Non sarebbe sano altrimenti. La vita non è solo questo. Lo fosse, sarebbe impossibile riprendersi dalle sconfitte».
La disciplina dello sportivo dove inizia e dove finisce?
«A un certo punto diventa un modo di essere. Non ci pensi nemmeno. Mangi bene, mangi sano. Una volta ogni tanto ti concedi una pizza. Vai a dormire presto se hai gli allenamenti, e fai più tardi quando sei in vacanza. Credo di riuscire a staccare completamente quando finisco gli allenamenti».
Senti di aver rinunciato a qualcosa?
«Sicuramente il mio è stato un percorso diverso rispetto a quello di alcuni miei coetanei. Non credo, però, di essermi persa qualcosa. Credo di averci solo guadagnato. Ho bruciato le tappe, sì, ma perché quello che mi è successo è successo quando avevo 17 anni. In realtà sono sempre stata così».
Così come?
«Sono sempre stata ambiziosa, anche da bambina; ho sempre voluto costruirmi un futuro nello sport. O se non nello sport, in qualcos’altro. Sono sempre stata estremamente chiara con me stessa. E lo so, non tutti i bambini sono così. Sono stata diversa e per la mia diversità, a volte, sono stata esclusa. Dopo l’incidente, ho deciso di accogliere a braccia aperte questa cosa, anche per dare un segnale a quelle persone che non riescono a reagire».
Tu tendi a dividere la tua vita in due momenti, prima e dopo l’incidente?
«Sì e allo stesso tempo no. Nella mia vita, ora, ci sono veramente tante tappe. Ed è difficile vederla solo in questi termini. La mia vita è la mia vita: una cosa unica, lineare, che va avanti. Indubbiamente è cambiata dopo l’incidente e ci sono stati tanti momenti differenti. Non credo di aver avuto solo due vite; ne ho avute molto di più. C’è stato l’incidente, c’è stata Tokyo, c’è stata Parigi, ci sono stati i mondiali... E tutte queste tappe mi hanno insegnato qualcosa: la sconfitta, il cambiamento, la voglia di andare avanti. Non credo di poter essere definita solo in base al mio incidente».
Ti capita, a volte, di essere sopraffatta da questa consapevolezza?
«Tutti hanno le loro battaglie. Non è sempre facile e ogni tanto sì, sento che quello che sto facendo e vivendo è tanto. Ma sento anche un’altra cosa».
Cosa?
«Sento di essere fortunata e non solo per modo di dire. E poi provo a vivere la mia vita da ventitreenne in ogni momento».
Prima mi dicevi che a volte venivi esclusa dai tuoi coetanei per la tua diversità. In che senso?
«Ho vissuto la mia adolescenza tra Porto Ercole, Monte Argentario e Grosseto. Adesso che mi sono spostata a Livorno ho conosciuto altre persone e altri gruppi. E a volte ho delle difficoltà a relazionarmi con i miei coetanei. E questo non solo per la diversità di stili di vita. Ho imparato a capire con chi condividere la mia vita sportiva e la mia vita privata».
Che cosa ricordi del momento in cui ti sei trasferita a Livorno?
«Io ho sempre avuto questa voglia di indipendenza. È stato tutto abbastanza naturale. Dopo aver fatto la maturità e dopo Tokyo, ho deciso di andare a vivere in caserma. Tornavo a casa dei miei solo nei weekend. Ora che sono qui a Livorno passo decisamente più tempo da sola, ma non è stato né difficile né una forzatura. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta, senza però caricarmi di responsabilità o di apprensione».
Che rapporto hai con tuo fratello?
«È il mio gemello ed è il mio più grande confidente. Anche lui, ora, vive a Livorno e ci vediamo molto spesso. Abbiamo un rapporto bellissimo».
Chi è la prima persona che chiami quando hai bisogno di scaricarti?
«Il mio babbo e la mia mamma e, come ti dicevo, mio fratello. Ognuno però ha la sua mansione. Dipende dalla questione, ecco (ride, ndr)».
Dov’è che ti senti a casa?
«Livorno l’ho sempre considerata casa mia. Mi sono sempre vista qua. E per me essermi trasferita è un traguardo. A Livorno sono nata e ho sempre voluto tornarci. Ovviamente un pezzo del mio cuore sta anche a Porto Ercole, dove posso sempre rifugiarmi».
Quanto è importante la rabbia?
«Reprimere le proprie emozioni non serve a nulla. Di momenti di rabbia ne ho veramente pochi. Più che rabbia, posso provare delusione. E poi con chi dovrei arrabbiarmi? Con me stessa? Certo, ma è un momento. Mi ricordo che mi sono arrabbiata quando, prima di Parigi, mi sono rotta le costole per una tosse fortissima. Non riuscivo a darmi spiegazioni. Ed è sicuramente utile sfogare la rabbia. Salvo, poi, ritrovare la calma».
Quando hai cominciato a farti le treccine?
«Dalle prime gare, in realtà. Poi con il tempo mi sono sempre più specializzata: da quelle basse a quelle, diciamo, più alte, che arrivano alla fronte. Sono diventate un po’ un rito per rilassarmi. Le treccine e il make-up sono quelle due cose che, prima di una gara, mi tranquillizzano e mi fanno sentire sicura di me».
Sei scaramantica?
«Non tanto, perché ogni tanto riesco ad abbandonare questi rituali. Una volta non sono riuscita a farmi le treccine. E ho preferito lasciar perdere per concentrarmi sulla gara. Ho solo una collana che metto sempre. È un’altra collana dopo Parigi, ma l’ho cambiata perché mi piaceva di più quella che metto adesso. Ecco, devo sempre avere una collana dorata al collo quando gareggio».
Ti capita mai di rimanere per qualche giorno nei paesi dove si tengono le gare?
«In teoria, un atleta lo può fare. Questa volta, in India, non l’ho fatto. Però ho visitato Nuova Delhi ed è stata sicuramente un’esperienza particolare. La sensazione che ti lascia l’India è forte».
Ci sono stati dei posti dove hai deciso di rimanere?
«No, per adesso no. Non mi sono fermata più di tanto in un paese. Appena arriverà una destinazione che aspetto un po’ di più, penso che lo farò».
C’è qualcosa che, facendo sport, hai imparato e che credi ti sia servito anche nella vita di ogni giorno?
«Sicuramente, come ti dicevo, lo sport mi ha dato una certa disciplina. E questo anche prima dell’incidente. Ero una mezzofondista. Il mezzofondo è molto tosto da affrontare. Richiede pazienza e ti prepara alla fatica. Una delle cose più intense dello sport sono gli infortuni. L’incidente l’ho affrontato così, come un infortunio. E in quel momento mi sono ricordata di tutte le cose che avevo fatto e mi sono detta chiaramente: tornerò a correre».
A parte la corsa, fai altri sport?
«Ogni tanto vado a pattinare sui pattini in linea. Un altro sport che ho riscoperto dopo l’incidente è il ciclismo su strada. E poi il nuoto, che uso sempre per la preparazione».
Mare o montagna?
«Per forza mare (ride, ndr)».
C’è un obiettivo che ti sei data?
«Voglio abbassare il mio personale, che è anche il record del mondo... Quindi ne devo fare un altro. E poi voglio migliorarmi tantissimo nel salto in lungo. Mancano tre anni a Los Angeles, ed è il momento di tirare fuori tutte le carte».
Fuori dalla pista, che cosa ti piace fare?
«Leggere. Sono in un club del libro, qui a Livorno. Mi sono iscritta anche all’università, ma per ora sto cercando di concentrarmi sullo sport».
A che facoltà ti sei iscritta?
«Scienze della Comunicazione».
Che libri hai letto ultimamente? Qualche fumetto?
«Mi piace molto Zerocalcare; credo di aver letto tutti i suoi fumetti. Ultimamente ho letto La catastrofica visita allo zoo di Joël Dicker e L’alchimista di Paulo Coelho. E ora sto leggendo un libro che si chiama La lista degli stronzi: è di John Niven e mi fa molto ridere».
Ti capita mai di prendere appunti e di sottolineare dei passaggi?
«Mi capita, sì. Ora come ora però vorrei leggere altri libri».
Tieni un diario? Scrivi note?
«Sì, mi capita. Una volta ho scritto anche una poesia, che ho condiviso sui social. Ma capita in alcuni momenti, non sempre».
E che cosa scrivi?
«Dipende dal momento. Se ho bisogno di sfogarmi, scrivo quello che mi è successo... Anzi no, scrivo quello che provo».
Ti piacerebbe condividere queste cose che scrivi, a un certo punto? Come hai fatto con la poesia.
«No, no. Sono solo per me (ride, ndr)».
Prima mi dicevi che leggi anche fumetti. Ti è capitato di andare a Lucca Comics and Games?
«Ancora no, non ci sono mai andata. Quest’anno c’erano i mondiali… Ma è una delle cose che voglio fare, spero di riuscirci l’anno prossimo».
Leggi anche manga?
«No, manga no».
Tra i tuoi colleghi si è diffusa una certa passione per One Piece.
«Sì, l’ho notato. Ma non so dirti perché (ride, ndr)».
Quando sei prima durante una corsa, quando davanti a te non c’è nessun altro, a che cosa pensi?
«Fisso un punto davanti a me, come ipnotizzata. Non distolgo lo sguardo. Allo stesso tempo, sono consapevole di tutto quello che mi succede intorno. Poi, quando mancano pochi metri al traguardo, lo sento che sono davanti. E quindi, in qualche modo, il cervello ti avvisa: ce l’hai fatta. Però devi provare a combattere questa idea; devi spingere fino alla fine».
Quanto è importante il respiro?
«Nei 100 metri ci pensi poco, al respiro. Pensi alle contrazioni. Non devi contrarre le braccia o le spalle. E se pensi troppo, magari all’avversaria che sta davanti a te, rischi di irrigidirti e di affrettare le cose».
Al momento, come dicevi prima, detieni il record mondiale. Ecco, che peso ha la consapevolezza di essere la più brava? È una cosa che ti spinge a fare sempre meglio o che rischia, al contrario, di limitarti?
«Non ha senso adagiarsi sugli allori, come si dice. In gara può succedere veramente di tutto. Non ti puoi convincere di essere la più brava e comportarti di conseguenza, come se fosse scontato. Io provo sempre a pensare che le mie avversarie siano un passo avanti. E facendo così, ci sono stati dei miglioramenti. Nel salto in lungo, devo ancora guadagnarmi la pagnotta».
Come mai hai deciso di fare anche salto in lungo? Volevi rendere più difficili le cose?
«(ride, ndr) Forse è così. Però il salto in lungo è una cosa che volevo fare da molto tempo e che mi sono sempre ripromessa di cominciare. L’ho rimandata troppe volte, e ora è il momento di fare sul serio. Ai mondiali in India non è andata benissimo, ma pazienza. Io sono così: o tutto o niente».
Segui lo sport come spettatrice?
«Seguo l’atletica italiana. Un po’ la pallavolo, il tennis, il canottaggio e la ginnastica. Non seguo il calcio, no».
A volte, come atleta, ti dispiace non vedere riconosciuta l’atletica nello stesso modo in cui, per esempio, viene riconosciuto il calcio?
«Più che l’attenzione mediatica, che è abbastanza presa da determinati sport, è l’attenzione sugli eventi di atletica che manca. Manca il coinvolgimento, a volte. Ed è un vero peccato, anche perché l’atletica è stata la prima disciplina olimpica».
Qual è il tuo colore preferito?
«Cavolo... Cavolo... Questa forse è la domanda più difficile di tutte. (ride, ndr) La mia bambina interiore ti risponderebbe: rosa fucsia glitterato. Io invece ti dico l’arancione, quella sfumature che si vede al tramonto».
È una cosa che fai, guardare i tramonti?
«Sì, mi piace tantissimo. Qui a Livorno ci sono forse i tramonti più belli del mondo».
Che tipo di silenzio c’è durante il tramonto?
«In qualche modo simile a quello che c’è sulla pista mentre corri. È un momento di riflessione».
Prima mi dicevi che nei 100 metri il respiro non è così importante. E nella vita di ogni giorno, invece?
«Serve, è importantissimo. Quando ci si sente un po’ sopraffatti, fermarsi un attimo per respirare può essere utilissimo. Io però sono una frana».
Che rapporto hai con la solitudine?
«Meraviglioso. Qualche mese fa sono andata in vacanza da sola; ho fatto il giro della Corsica in van per dodici giorni. Ed è stata un’esperienza bellissima».
A volte le aspettative degli altri possono essere difficili da gestire?
«A volte è difficile leggere certi commenti, certe cose che vengono scritte sui social. Chi soffre più di tutti è l’atleta. La gente dovrebbe ricordarselo».
Ti capita mai di ballare da sola?
«Sì. (ride, ndr) La mattina lo faccio per scuotermi. Ma penso che nessuno vedrà mai questo momento».
Qual è la canzone migliore su cui ballare? Prima mi parlavi degli ABBA.
«Forse Dancing Queen».
Quando hai bisogno di pensare, che cosa fai?
«Mi piace molto guidare, anche per questo sono andata in Corsica in van».
Che cosa credi che ti manchi, ora?
«Onestamente nulla. Sono soddisfatta della strada che ho intrapreso fino ad adesso. Mi sto preparando per Los Angeles. La mia famiglia mi dà tutto l’affetto di cui ho bisogno, e anche i miei amici».
Dove sta la felicità?
«Io penso che la felicità sia un attimo breve, brevissimo. È difficile essere felici per tutto il tempo. Sicuramente la puoi trovare nelle piccole cose».
La felicità dura di più o di meno di una canzone degli ABBA?
«Dura esattamente quanto una canzone degli ABBA».
Foto di Gabriele Seghizzi. Grafica di Manuel Bruno. Ambra Sabatini – A un metro dal traguardo di Mattia Ramberti è una co-produzione Giffoni Innovation Hub e Blackbox Multimedia in collaborazione con Autostrade per l'Italia e con il contributo di Accenture Song; è distribuito da Adler Entertainment. Il film vanta il patrocinio del Ministero della Cultura, del Ministero dello Sport, del Comitato italiano Paralimpico e del Coni. Per saperne di più e scoprire come partecipare alle presentazioni con Ambra Sabatini, visitate il sito ufficiale.