di Gianmaria Tammaro
L’esperienza di Un anno di scuola, l’incontro con Laura Samani e il suo agente, Gianni Chiffi. L’emozione della première veneziana, la vittoria del premio come miglior attore nella sezione Orizzonti. E poi il rapporto con la sua famiglia e con Trieste, la decisione di lasciare la scuola per cominciare a lavorare e il desiderio di partire per l’estero. I prossimi progetti, le cose che ha imparato e gli obiettivi che si è dato. L’intervista.

Giacomo Covi non ha mai pensato di fare l’attore. È stato scoperto dall’acting coach Alejandro Bonn in un bar di Trieste, mentre stava lavorando. Da quel momento, sono rimasti in contatto. Dopo Bonn, sono arrivati Davide Zurolo, il casting director, e Laura Samani, la regista di Un anno di scuola. Quando gli hanno proposto di interpretare il personaggio di Antero, Covi ha detto di sì per un motivo semplicissimo: era curioso. Voleva conoscere un mondo che aveva sempre amato e seguito da un’altra prospettiva: quella, cioè, di chi si trova ogni giorno sul set, impara ad avere a che fare con registi e scrittori; si confronta con gli altri attori e capisce l’importanza di non giudicare il proprio personaggio.
Un anno di scuola, che arriverà al cinema l’anno prossimo con Lucky Red, è senza ombra di dubbio uno dei film più belli passati all’ultima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica. Racconta una storia di crescita, fatta di incomprensioni, distanze e amicizia. C’è l’intimità dei primi amori e c’è la forza delle scelte che a volte prendono gli adolescenti, convinti di aver visto e provato tutto. Trieste è il centro e, allo stesso tempo, la cornice di questa storia.
Per Covi Un anno di scuola è stato un modo per creare dei ricordi e per vivere finalmente il suo quinto anno di liceo. Alla fine delle riprese, ha dovuto convivere con la malinconia per l’esperienza che aveva appena vissuto. Quando poi è andato a Venezia, ha vinto il premio come miglior attore. Una cosa che, dice, non si aspettava minimamente. Recitando ha imparato a conoscersi: sia con i suoi lati negativi che con la sua capacità di guardare il futuro per quello che è. Il futuro, appunto. Senza ansie e senza tensioni. Ciò che vuole adesso è riuscire a emozionare le persone. Piercing di Margherita Ferri è il prossimo film in cui reciterà.

Quando c’è stato il primo contatto con Laura Samani per Un anno di scuola?
«Lavoravo in un bar, e conoscevo già Alejandro Bonn, il nostro acting coach. Non come amico, ma come cliente. È stato lui il primo ad avvicinarmi, facendomi questa proposta in via ufficiosa. È successo molto prima dell’inizio delle riprese. Era stato appena preso da Laura come acting coach. Mi ha chiesto se la cosa mi potesse interessare. Sono sempre stato un appassionato di cinema, ma non avevo mai pensato di fare l’attore. Gli ho risposto di sì, e così lui ha cominciato a venire più spesso al bar, per parlarmi insieme al casting director, Davide Zurolo, e dopo anche con Laura».
E che cosa vi dicevate?
«Innanzitutto volevano essere sicuri che io fossi effettivamente interessato. E poi per conoscermi. Per capire, insomma, se anche io piacevo a loro».
Poi hai fatto un vero provino?
«No, mai. L’unica cosa che ho fatto più simile a un provino è stata una specie di intervista con Alejandro, mentre mi riprendeva. Non ho dovuto recitare o fare delle scene. Dovevo solo rispondere a delle domande che mi faceva Alejandro. E questo perché Laura cercava sì degli interpreti per i suoi protagonisti, ma voleva soprattutto trovare persone simili ai personaggi che aveva scritto e viceversa».
In che senso “e viceversa”?
«Nel senso che anche loro, con le loro parole e i loro movimenti, dovevano somigliarci».
Il primo incontro con gli altri attori com’è stato?
«Il primo che ho conosciuto è stato Pietro (Giustolisi, ndr) che interpreta Pasini. È stato di sera, durante una cena. Ci ha presentati Laura. Nessuno dei due era stato ancora confermato, se non sbaglio. Quindi Laura ci ha fatto conoscere prima di dirci che eravamo stati presi. Forse l’ha fatto per vederci insieme. Pietro è un po’ più grande di me, ma nonostante la differenza di età ci siamo trovati immediatamente bene. Abbiamo molti interessi in comune, e tutti e due lavoravano in un bar. Con Sam (Samuel Volturno, che interpreta il personaggio di Mitis, ndr) ci siamo incontrati in un altro momento, quando siamo andati a bere una birra con Laura».
Mentre lavoravi al bar, studiavi?
«No, l’università è una cosa che, al momento, non posso fare. Ho fatto l’alberghiero per un solo anno».
Com’è stato lavorare a un film, affidandoti completamente a qualcun altro? Avete avuto la possibilità di intervenire sulla sceneggiatura?
«Abbiamo fatto moltissima preparazione insieme ad Alejandro. Quando siamo arrivati sul set, avevamo già una certa infarinatura di quello che potevamo o dovevamo fare. E poi abbiamo avuto molta libertà. Non nell’improvvisare, quello mai. Ma nel poter dire se una battuta o un atteggiamento ci sembravano poco naturali. Laura ci teneva veramente tanto. Per questo ha scelto dei ragazzi non professionisti, tutti di Trieste. Voleva un racconto autentico. Ma sono stati rarissimi i momenti in cui siamo intervenuti sulla sceneggiatura. Laura e Elisa Dondi, la co-sceneggiatrice, hanno fatto un lavoro incredibile. Non abbiamo mai cambiato una cosa all’ultimo secondo, mentre eravamo sul set o stavamo per girare».
Tu e gli altri attori vi siete frequentati anche al di fuori del set?
«Ci siamo conosciuti grazie al film. Prima delle riprese, uscivamo spesso insieme per legare. Laura voleva fortemente anche questa cosa. Proprio per ritrovare quell’autenticità di cui ti parlavo prima. Se dobbiamo interpretare tre amici, allora dobbiamo anche essere pronti a confrontarci».
Avete mai litigato?
«Per qualche screzio sì, ma sono sempre state cose piccole, più per testardaggine. Mai per motivi seri».
Avete girato Un anno di scuola verso la fine del 2024. Prima di andare a Venezia, dov’è stato selezionato in concorso nella sezione Orizzonti, è passato quasi un anno. Come hai trascorso questo periodo?
«Quella del set è stata sicuramente un’esperienza unica. La rifarei daccapo nello stesso modo in qualunque momento. È stato indubbiamente difficile allontanarsi da persone che ho imparato a conoscere al di là del lavoro. Però diciamo che dopo, finite le riprese, mi sono anche rilassato. Non mi ero mai fermato. Prima del set, ho lavorato al bar. Finito con il bar, è iniziato il film».
Voi ragazzi di Trieste continuate a vedervi?
«Sì, ogni tanto ci vediamo. Poi ti devo dire una cosa. Non pensavo che la mia esperienza cinematografica, dopo Un anno di scuola, sarebbe andata avanti. E invece poi è proseguita (il prossimo progetto di Covi è Piercing di Margherita Ferri, ndr). E sono rimasto piacevolmente sorpreso. Lo scorso marzo sono andato a Milano per fare un corso da barman; ero convinto che non avrei più recitato».
Quando hai visto il film per la prima volta?
«A marzo, insieme a Laura e a tutti gli altri. Dovevamo ridoppiare delle parti e ne abbiamo approfittato anche per vederlo, anche se non era ancora definitivo».
Che impressione ti ha fatto rivederti?
«Io non sono uno di quelli che impazziscono per la propria immagine; non ho mai avuto molta autostima. È un po’ come quella sensazione fastidiosa che avverti quando risenti un audio che hai mandato a qualcuno e non riconosci la tua voce. Ecco, più o meno è andata così. Anzi, è stata ancora più grande come sensazione. Non solo la voce era completamente diversa, ma anche il modo in cui mi muovevo».
Alla fine, però, sei riuscito ad abituarti?
«No. E ho rivisto Un anno di scuola cinque volte».
Che tipo di ansia hai provato prima della première a Venezia?
«Be’, l’ansia c’era sicuramente. Ma era tutto talmente surreale, sembrava di essere dentro un altro film, che non riuscivo a concentrarmi su ogni cosa. E a quel punto l’ansia si è trasformata; è diventata emozione pura».
Ti è capitato di ripensare al periodo della scuola durante le riprese?
«Le superiori, per me, sono state un percorso un po’ travagliato. Non ho avuto molto materiale su cui appoggiarmi per Un anno di scuola. Ho cambiato molte scuole, molte classi, prima di fare l’alberghiero. Per me è stato molto bello creare dei ricordi sul set. Alla fine, il mio quinto anno di liceo l’ho vissuto grazie a Un anno di scuola. E questa cosa mi ha fatto veramente piacere».
Come mai hai cambiato spesso classe e scuola?
«A parte il periodo del COVID, che penso che non abbia aiutato nessuno, non c’è stato niente di serio. Non riuscivo a studiare. Non avevo nessuna voglia di farlo. Con il COVID, quasi non ne ho sentito la necessità. Una volta finita la quarantena, è stato difficile riprendere con la scuola».
Di solito si dice questa cosa; si dice che è importante non giudicare i propri personaggi per poterli interpretare. Tu, però, che cosa hai pensato di Antero?
«Ti dico la verità: all’inizio l’ho odiato. Mi sembrava un ragazzino saputello, saccente, che a causa del suo carattere spigoloso finisce per fare del male agli altri e a sé stesso».
Alla fine, invece, che cosa hai pensato?
«Ho capito che l’unico motivo per cui Antero mi stava così antipatico era perché ero io a doverlo interpretare. Mi stava antipatico nello stesso modo in cui mi sto antipatico io. E questa cosa mi ha permesso di conoscerlo meglio, di mettermi nei suoi panni, di accettare, senza giustificarlo, che a quell’età si finisce sempre per essere un po’ cattivi».
Com’è stato recitare con Stella Wendick che interpreta Fred? È stata la tua prima esperienza, Un anno di scuola. E hai avuto anche delle scene piuttosto impegnative, specie dal punto di vista del rapporto con lei.
«Sapevamo fin dall’inizio che, a un certo punto, avremmo avuto queste scene più intime. Dentro e fuori il set, Stella è una persona meravigliosa, oltre che una bravissima attrice. È stata sempre estremamente professionale. Ma è stato merito anche di Laura e Alejandro, che ci hanno portato a quelle scene nel modo migliore, superando qualunque imbarazzo e qualunque distanza. Ci siamo accompagnati a vicenda in questa avventura».
Avevi mai preso in considerazione la possibilità di vincere il premio come miglior attore a Orizzonti?
«Non me lo sarei mai aspettato. Mai, credimi. Tuttora penso che Pietro e Sam lo meritassero più di me. Eravamo già a Venezia per ritirare il premio Nuovo Imaie. Mi hanno detto che avevo vinto il premio di Orizzonti mentre ero in stanza».
E qual è stata la prima cosa che hai pensato?
«Onestamente? Che mi stessero prendendo in giro».
Hai conosciuto il tuo agente, Gianni Chiffi, a Venezia?
«Da quello che mi hanno detto ci siamo intravisti a Venezia. Però ho ricordi molto confusi. Sicuramente ci siamo incontrati dopo».
Dove tieni i premi?
«A casa dei miei genitori, che li hanno messi in bella mostra in soggiorno».
Che cosa hanno pensato i tuoi genitori quando hai detto di voler fare l’attore?
«Io un po’ mi considero figlio d’arte. Mio padre è un fotografo, mentre mia madre, da giovane, ha fatto l’attrice di teatro. Sono stati entrambi contenti; non hanno mai voluto altro che la felicità per me. Sapevano bene di che cosa stavamo parlato, conoscevano Venezia e conoscevano la sua importanza».
Quando sei stato preso per Un anno di scuola, che cosa ti hanno detto?
«Io ho provato a viverla in modo pacato, senza avere troppe aspettative. Loro, invece, hanno sempre creduto in me. Ma non si sono mai imposti. Sono stati discreti. Non mi hanno mai caricato di, diciamo così, responsabilità».
Sei figlio unico?
«No, ho due sorelle più grandi».
E loro, invece, come hanno reagito?
«Ma guarda, loro sono le mie fan più agguerrite. (ride, ndr) Anzi, sono le mie uniche fan al momento».
Sono molto più grandi di te?
«No, siamo abbastanza vicini come età».
Dopo l’esperienza di questo film, che cosa pensi di aver imparato su te stesso?
«Posso dirti di essermi reso conto di essere molto cacacazzi. Molto precisino. Non so se per colpa di Antero. Da una parte può essere anche positiva come cosa, ma so che per gli altri può risultare decisamente fastidiosa e pesante».
E invece c’è stato qualcosa di te stesso che ti ha sorpreso?
«Forse ho capito di essere molto più sereno sul futuro. Non ho ansia. E questa è una cosa che mi differenzia molto dal mio personaggio. Prima del film, ero come lui. Ora provo a vivere di più il momento».
Secondo te, questa esperienza, con le responsabilità che ha portato, ha creato una distanza tra te e i tuoi coetanei?
«In realtà queste responsabilità le ho sempre sentite, avendo cominciato a lavorare abbastanza presto. I miei genitori mi hanno assecondato in tutte le mie decisioni, ma non mi hanno mai permesso di accomodarmi. Quando ho lasciato la scuola, ho dovuto trovare un lavoro; non potevo rimanere a casa con le mani in mano. Non so quanto il set possa aver influenzato questa cosa. Sicuramente è vero che ogni esperienza lavorativa ti dà qualcosa di nuovo, di più».
Quando sei andato via di casa?
«Una settimana prima di Venezia».
Era una cosa che avevi già messo in conto?
«Dopo il film, speravo di riuscire ad andare via, all’estero, per lavorare come barman. Visto però che ora sto provando a recitare, a seguire questo percorso, sono rimasto a Trieste, approfittando di una casa di amici di famiglia».
Trieste ti sta stretta come città?
«Io sono follemente innamorato di Trieste. Penso che insieme a Roma sia la città più bella d’Italia. Ma sì, è molto piccola. E un po’ mi sta stretta. Questo però non vuol dire che voglio abbandonarla; voglio vivere al massimo la mia giovinezza e le possibilità che mi vengono offerte».
Che cosa ti piace della recitazione?
«Come ti dicevo prima, non ho mai pensato di fare l’attore. Fino a qualche anno fa, non ti nascondo che mi incuriosiva la possibilità di interpretare un’altra persona. Oggi, però, la cosa che mi interessa di più è avere l’opportunità di esprimere qualcosa, di diventare un tramite per una storia, usando una voce e delle parole che non sono mie. Quello che mi interessa, insomma, è riuscire a emozionare la gente».
Foto di Marco Covi. Grafica di Manuel Bruno.