di Gianmaria Tammaro
L’amore per il teatro, il colpo di fulmine con il cinema; l’esperienza de La valle dei sorrisi, il primo incontro con l’horror, il rapporto con sua sorella e il sostegno dei genitori. E poi la riscoperta di sé stesso, del suo lato più estroverso, e il legame di fiducia stretto con il regista Paolo Strippoli. L’intervista.
Giulio Feltri ha trovato la recitazione per puro caso. Sua madre, Annalena Benini, ha provato a convincerlo a fare sport. Ma alla fine, quasi per esclusione, è arrivato il teatro: un posto che dice di amare profondamente. La valle dei sorrisi, al cinema con Vision Distribution, è il suo primo film. L’ha girato dividendosi tra scuola e set, spesso accompagnato da sua sorella. Feltri mi spiega che ci sono sempre stati l’uno per l’altra e che se è riuscito a fare un film parte del merito è proprio di sua sorella. Perché, mi ripete, non ha mai lasciato il suo fianco. Così come lui non ha mai lasciato il suo. Ne La valle dei sorrisi, interpreta Matteo Corbin, un adolescente dotato di poteri straordinari e condannato, per questo, a fare del bene.
Feltri ha diviso la scena con Michele Riondino e Romana Maggiora Vergano; ha conosciuto un’altra parte di sé, quella più estroversa, e ha capito che è importante sapersi affidare agli altri. Con Paolo Strippoli, il regista, ha creato un legame sincero e profondo. Ha imparato giorno dopo giorno, passo dopo passo, battuta dopo battuta. E di questo, ammette, è estremamente grato e felice. L’emozione a Venezia, durante l’anteprima, è stata enorme. Sentiva, e in un certo senso sente ancora, un’ansia tremenda. Ora tocca a tutto il resto: ai provini con i self tape girati a casa, seguendo i consigli di suo padre, Mattia Feltri, e al futuro.
In uno dei post che hai pubblicato per l’uscita al cinema de La valle dei sorrisi hai ringraziato tua sorella. Avete un bel rapporto?
«Mia sorella è la persona che mi conosce meglio; è la persona che mi sta sempre accanto, proprio come io le sto sempre accanto. Le piace accompagnarmi, venire con me. Forse, ecco, le piace questo ruolo. Poi per carità: non so quale sia il suo punto di vista. Quello che so è che si diverte».
In che senso “è la persona che mi conosce meglio”?
«Sappiamo entrambi che se sono dove sono è per lei, perché ci stiamo vicini».
Siete sempre stati così affiatati?
«Quando ero più piccolo, quando ero una bestia (ride, ndr), litigavamo molto. Ora, visto che ci vediamo ogni giorno, litighiamo di meno e andiamo molto più d’accordo».
Perché hai scelto di fare l’attore?
«Non vorrei dire che sono andato per esclusione, però in un certo senso è stato così. Mia madre ha sempre voluto farmi fare degli sport. Ho provato qualunque cosa: dal nuoto al pugilato. Ho fatto anche danza e judo, che se ci pensi c’entra con La valle dei sorrisi. Dopo un po’, però, li ho lasciati tutti. Quando ho detto a mia madre che mi sarebbe piaciuto fare recitazione, ha chiamato una sua amica attrice ed è stata lei a dirmi dove andare. È stata la svolta. La svolta delle svolte, anzi. Questo è il quarto anno che faccio recitazione».
Tu non sei diplomato, giusto?
«No, no. Frequento ancora il terzo liceo».
Come hai trovato un equilibrio tra il set e la scuola?
«Fortunatamente il set è iniziato prima della scuola. Il 24 agosto, se non sbaglio. Quindi c’è stato un po’ di tempo sul set senza scuola. Poi quando sono cominciate le riprese, avevo un permesso per potermi assentare. Un po’ come chi va alle gare sportive. Però è stato difficile».
Perché?
«Perché quando sono tornato ho dovuto recuperare tutto quello che non avevo fatto, verifiche e interrogazioni comprese. E quindi ho dovuto studiare da zero molte cose. Da gennaio in poi, mi sono rimesso in pari e, per fortuna, è andato tutto bene».
E invece con i tuoi compagni di classe com’è andata?
«Sono sempre stati molto curiosi; non c’è mai stata una distanza o un distacco. Mi hanno fatto tante domande, questo sì. Il mio gruppo – ogni classe è divisa in gruppi, è normale – è rimasto. Il film non ci ha allontanati».
Sono andati a vedere La valle dei sorrisi?
«Sì, le mie amiche sono andate a vederlo il primo giorno. Sono contento che sia piaciuto. Perché non è un film facile; non si limita, diciamo così, a intrattenere. È un film che apprezzi di più se capisci quello che c’è dietro, quello che prova a dire».
Come ti sei sentito a Venezia poco prima dell’anteprima?
«Avevo un’ansia terribile. La verità è che io non riesco a rivedermi sullo schermo, e così ho vissuto ogni scena con il cuore in gola. Ma non è solo questo».
Dimmi.
«Per me è difficile convivere con l’idea che ci siano persone che andranno al cinema e guarderanno un film in cui ci sono io. Non sono abituato a questa esposizione. Sapere che degli sconosciuti vedranno la mia faccia e il mio corpo mi mette una certa agitazione».
Sul set come ti sei trovato?
«Bene. Anzi, benissimo. Ho avuto la fortuna di trovare un cast pazzesco e non solo per il talento degli attori. Mi sono sempre sentito il benvenuto; nessuno mi ha mai giudicato. Sono stati tutti professionali e gentili. Insieme al cast, anche la troupe è stata di supporto. Credimi se ti dico che sono davvero grato».
Paolo Strippoli mi ha detto che avete girato in due paesini tra le montagne. Una volta che finivano le riprese della giornata, che cosa facevi?
«Ti posso dire la verità?»
Certo.
«Quando veniva chiamato lo stop, l’unico pensiero che avevo in testa era ficcarmi sotto le coperte e dormire. (ride, ndr) Quando invece finivamo prima, di pomeriggio, organizzavamo delle cene in paese. Trovavamo sempre qualcosa da fare. Ci piaceva passare del tempo insieme».
Hai portato via qualcosa dal set?
«Intendi oggetti?»
Sì.
«Mi hanno regalato il calco della mia faccia; ce l’ho in camera in questo momento e... be’, vorrei bruciarlo. (ride, ndr) E poi mi hanno lasciato la tunica. Ah, c’è anche Remis».
Remis?
«Sì, quando stavamo tornando in treno, un’amica di un’amica di mia sorella – è un po’ ingarbugliata, lo so – le ha scritto e le ha detto di aver trovato un gattino che era stato abbandonato. Quando abbiamo visto le foto, ci siamo impegnati per convincere i nostri genitori. Per carità: avevamo già altri due gatti e un cane, e sono tanti. Però ci dispiaceva troppo… Quando hanno detto di sì, abbiamo deciso di chiamarlo Remis, come il paese de La valle dei sorrisi».
Prima mi hai detto che tua madre ti ha aiutato con la recitazione.
«Sì, ha chiamato questa sua amica attrice».
Invece tuo padre che cosa pensa della tua decisione?
«Mi ha sempre supportato, sempre. Ma non un supporto banale, tipo: “credo in te, penso che ce la puoi fare”. No, no. Mi ha dato consigli. Costantemente. Anche ora che faccio self tape mi racconta dei registi che conosce e mi dà suggerimenti».
Che cosa ti hanno detto i tuoi genitori dopo aver visto il film?
«Lo hanno visto a Venezia per la prima volta».
Hanno avuto paura?
«Mio padre non è un fan dell’horror, non ama spaventarsi. Questo film, però, gli è piaciuto. Lo ha incuriosito il sottotesto, con i suoi significati... Mia madre, alla fine della proiezione, ha pianto penso per... boh, un’ora? Un’ora e mezza?»
Si era commossa?
«Le dispiaceva per Matteo, per il mio personaggio. Mi ha detto che è un film straziante, senza un secondo di speranza per questo ragazzo».
Tu, invece, sei un fan dell’horror?
«Sì».
Qual è stato il primo horror che hai visto?
«Sai che non me lo ricordo con precisione? Però mi ricordo quando nel 2018 ho visto It; mi è piaciuto tantissimo. Prima ho sempre visto horror che personalmente non mi hanno entusiasmato molto. Non avevano qualcosa capace di rimanere, con un senso e dei significati particolari. It, invece, mi ha colpito. E ho capito che l’horror ha un potenziale enorme. L’horror non è solo sangue, splatter e paura. L’horror offre punti di vista interessanti su tanti temi».
Ti piace giocare ai videogiochi horror?
«Ammetto di non essere un grandissimo videogiocatore. I videogiochi che mi piacciono di più sono quelli dove la storia ha un ruolo centrale. Pensa per esempio a Red Dead Redemption 2: è un film, è meraviglioso. Con gli horror, invece, ho proprio una difficoltà. Quando muovo un personaggio, mi sento troppo coinvolto. Preferisco vedere gli altri giocarci. Per esempio, ho guardato mia sorella giocare a un Resident Evil».
Sul set ti è mai capitato di immedesimarti così tanto nel ruolo, nella situazione, da avere paura?
«Sì, mi è successo. C’è una scena in cui mi nascondo in bagno e per me è stata veramente difficile. Mi sono preparato con il mio acting coach, Luigi Di Pietro, che mi ha fatto capire come approcciarla. Non mi ricordo nemmeno che cosa ci siamo detti, ma non appena sono arrivato sul set e Paolo ha dato l’azione ho iniziato a piangere».
Quando hai saputo di aver ottenuto la parte, hai recuperato i film di Strippoli o li avevi già visti?
«Dopo il primo provino, ho guardato Piove. Poi, con un’amica, abbiamo guardato A Classic Horror Story. Ma non sapevo fosse di Paolo... L’ho scoperto mesi dopo, a casa sua».
Hai visto i film dei tuoi colleghi?
«Con mio padre ho recuperato Palazzina Laf di Michele Riondino. È un film che mi è piaciuto veramente tanto per il modo in cui riesce a coinvolgerti. Ogni tanto mio padre mi spiegava dei passaggi, mi dava altre informazioni. Nonostante non conoscessi bene la storia, mi ha preso moltissimo».
Che cos’è che ti piace della recitazione?
«Prima di fare questo film, andavo quasi ogni mercoledì a teatro. E il teatro mi è sempre piaciuto. Lo adoro, credimi. Ora che ho fatto un film, però, credo di preferire il cinema e la dimensione del set, la possibilità che offre di creare qualcosa. Forse sono ancora giovane per dirlo... Però sì, è stata proprio l’esperienza del set che mi ha fatto pensare di essere a casa».
Che cosa hai imparato sul mestiere dell’attore facendo La valle dei sorrisi?
«Ho capito che per sentire di aver fatto un buon lavoro è fondamentale trovare il giusto ambiente, e con ambiente intendo sia il luogo fisico che le persone che hai intorno. Anzi, sono soprattutto le persone a fare la differenza. Ecco, ho capito che un film, un buon film, si fa con le persone. Alla fine del set, quando non riuscivo a riguardarmi, me la prendevo con Paolo; gli chiedevo perché teneva le scene, perché non le rifacevamo. Ho capito che dovevo fidarmi».
Su di te che cosa hai imparato?
«Che, se voglio, posso essere estroverso. In generale, sono sempre stato abbastanza chiuso e timido. Ma dopo questo film ho capito di poter parlare con gli altri senza problemi. Ho trovato un’altra parte di me sul set de La valle dei sorrisi».
Quanto è difficile affidarsi agli altri?
«Molto. Però con Paolo sono riuscito a farlo subito. Non mi sono mai sentito in difficoltà; mi sono sempre sentito parte del lavoro, del set, di quello che stavamo facendo. Ero partecipe, e di questa cosa sono stato veramente felice».
Foto di Annalisa Flori. Stylist: Andrea D’Alessio. Ufficio stampa: On Air Agency. Grafiche di Manuel Bruno.