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18.09.2025

Sotto le nuvole: Napoli secondo Gianfranco Rosi

di Gianmaria Tammaro

Il 18 settembre, distribuito da 01 Distribution, arriva al cinema il nuovo film di Gianfranco Rosi, vincitore del Premio della Giuria all’82° edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Tra storie uniche e voci straordinarie, viene ritratta una Napoli inedita e lontana da cliché e luoghi comuni. L’approfondimento.

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Fin dal primo istante, Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi (al cinema con 01 Distribution) prova a raccontare una Napoli diversa, non oscura ma sicuramente lontana da certi luoghi comuni e cliché. Quella che cattura, nel bianco e nero della fotografia, è una città sospesa, gonfia di voci e di umori, viva, tanto periferia quanto centro del mondo intero. Napoli diventa un simbolo: una lente attraverso cui guardare l’attualità e l’essere umano nella sua essenza. In tre anni di ricerche, Rosi ha rintracciato storie uniche che ci parlano di passato e di presente, che s’infilano tra le pieghe dei Campi Flegrei e che fuoriescono dall’altra parte, alla luce del sole, tra scavi e vecchie statue.

In Sotto le nuvole c’è la Napoli di ieri, quella figlia del dopoguerra, martoriata dal terremoto dell’Ottanta, una distesa infinita di case più o meno grandi e più o meno sicure; e c’è pure la Napoli di oggi, fatta di persone, di gesti, di una ritualità che si ripete sempre identica ogni mattina: i cavalli che corrono sul bagnasciuga; un vecchio magazzino convertito in un doposcuola che viene aperto, riempito e svuotato; operai siriani che scaricano al porto il grano ucraino; studenti e archeologi giapponesi che si impegnano nel riportare a galla i resti romani di una villa; responsabili ed esperti che, nelle viscere del Museo Archeologico, provano a trovare un ordine alla confusione dei reperti; magistrati e carabinieri che combattono i tombaroli.

Nel documentario di Rosi, però, non ci sono solo le persone. C’è anche la terra: quella che trema, che si riscuote, che allarma gli abitanti. E allora partono le telefonate ai vigili dei fuoco, le richieste d’aiuto, l’ansia. Qui si muove tutto, che dobbiamo fare. Scusate, c’è stato il terremoto. Abbiamo paura, siamo usciti in strada. Eliminare le facce, inserire le voci mentre la camera tiene la stessa inquadratura, funziona come un invito per lo spettatore. Un invito, cioè, a lasciarsi andare, ad ascoltare, a capire intimamente le vibrazioni dei toni che vengono usati. C’è paura, c’è solitudine; c’è disperazione. Ma c’è pure una certa voglia di fare, un pragmatismo tipicamente napoletano, che sembra inscalfibile. Prima o poi, come in un ciclo infinito, ritorna sempre.

Rosi, come i più bravi, sta sempre in disparte, in silenzio; riprende i dialoghi, forse chiede di ripeterli, ma non c’è nessuna artificiosità forzata. Quello che vediamo, specialmente nel doposcuola popolato da ragazzi e ragazze di tutte le età, gestito stoicamente da un signore, è quello che succede: ne ha la forma, la consistenza; addirittura ne ha il suono. Le musiche di Daniel Blumberg intervengono solo quando serve, quando c’è uno spazio in cui potersi infilare; solo quando è necessario dare al racconto – inteso come insieme di immagini, di suoni e di accadimenti – uno spessore differente. Per il resto del tempo, sentiamo fruscii, passi che schiacciano pietre, terra che si smuove, tasti che vengono pigiati, sospiri, il fruscio rilassante del grano che scorre come una cascata. E poi libri che vengono sfogliati, oggetti che vengono posati; le incisioni di matite sulla carta.

Con Sotto le nuvole, Rosi vuole catturare l’anima di una città e, soprattutto, delle persone che la abitano e che la frequentano, come gli operai siriani che lavorano al porto, che chiamano i loro familiari e che pensano al pericolo che li aspetta andando in Ucraina a caricare altro grano. O anche gli studenti dell’Università di Tokyo che, volenti o nolenti, sono stati assorbiti dall’ecosistema del napoletano, che sono diventati un tutt’uno con un andamento e un modo di scandire il tempo. Rosi usa una vecchia sala cinematografica come punto di incontro: è un crocevia dove, di volta in volta, può cambiare direzione e storia, dove le prospettive e i racconti si alternano, si cercano, si amalgamano; dove i vuoti lasciati dalla realtà possono essere colmati.

Sotto le nuvole è un enorme abbraccio: tanto visivamente quanto contenutisticamente. Riprendere il Vesuvio e cercare la rotondità del golfo permettono a Rosi di ritagliare un confine preciso per il racconto e per la sua storia. Allo stesso tempo, ridisegnare i fianchi del vulcano e fissare la forma fumosa delle nuvole suggerisce un altro livello di lettura per il film: Napoli è antica; Napoli viene dal fuoco e dal mare; ha visto la distruzione ed è sopravvissuta; oggi sembra minacciata, in bilico, eppure è ancora in piedi. Fiera, selvaggia, viva. I napoletani e chi, più semplicemente, vive a Napoli sono un’estensione della città: rami più o meno lunghi che puntano al cielo, in alto; oppure radici spesse che scavano sotto terra.

Sotto le nuvole non è il solito documentario su Napoli, che si perde nel folklore e in una visione distorta, turistica, del capoluogo campano. È una fotografia sincera e, per questo motivo, autentica. È lo sguardo di Rosi su una realtà importante, conosciuta in tutto il mondo, che però cattura Napoli nella sua molteplicità: culturale, visiva e pure geografica. Sotto le nuvole si muove in tre direzioni contemporaneamente: verso l’alto, verso il basso e orizzontalmente, tra le persone. E lo fa grazie alle storie che racconta, alle testimonianze che raccoglie e ai momenti, più o meno piccoli, più o meno importanti, che in modo del tutto naturale, non mediato, succedono.

Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi è una produzione 21UnoFilm e Stemal Entertainment con Rai Cinema e in associazione con Les Films d’Ici-Arte France Cinéma. Il soggetto è stato scritto con la collaborazione di Carmelo Marabello e Marie-Pierre Müller. Sotto le nuvole è stato prodotto da Donatella Palermo e Gianfranco Rosi.