di Gianmaria Tammaro
Quarant’anni fa, in Giappone, usciva L’uovo dell’angelo, un’opera complessa e profondamente onirica che ha presentato al mondo intero la visione e il genio di Mamoru Oshii. Dal 4 al 10 dicembre, L’uovo dell’angelo sarà nelle sale italiane per la prima volta, distribuito da Lucky Red. L’approfondimento.

L’uovo dell’angelo (titolo originale: Tenshi no tamago), al cinema dal 4 al 10 dicembre con Lucky Red, coincide con un momento preciso all’interno della carriera di Mamoru Oshii, il regista di Ghost in the Shell. Un momento che, senza esagerare, potremmo definire punto di svolta artistico. È importante, per questo motivo, fare un passo indietro e provare ad analizzare la carriera di Oshii partendo dall’inizio. Prima di avvicinarsi al mondo dell’animazione, Mamoru Oshii, nato a Tokyo l’8 agosto 1951, si è sempre interessato alla fantascienza e al cinema. Ha cominciato a scrivere i suoi primi racconti quando era un adolescente, tra i 14 e i 15 anni. Per un periodo, intorno alla metà degli anni Settanta, ha lavorato in una radio come responsabile della programmazione. Poco tempo dopo, annoiato da quel mondo, è entrato a far parte dello studio Tatsunoko, storica realtà fondata da Tatsuo Yoshida e dai suoi due fratelli, Kenji e Toyoharu.
La prima produzione a cui Oshii ha preso parte è stata La battaglia dei pianeti (titolo originale: Kagaku ninjatai Gatchaman II), dove ha fatto da assistente animatore. Successivamente ha diretto alcuni episodi della serie Zendaman. Quando nel ‘78 è morto Yoshida, che era stato un maestro e un punto di riferimento per lui, Oshii ha lasciato lo studio Tatsunoko e si è unito allo Studio Pierrot. Ed è proprio qui che Oshii ha avuto la possibilità di farsi conoscere grazie al suo lavoro su Urusei yatsura (in italiano: Lamù la ragazza dello spazio), serie tratta dal manga di Rumiko Takahashi, in Italia pubblicato da Star Comics. Oshii, infatti, ha diretto 129 episodi su 195 ed è riuscito a caratterizzare fortemente il racconto aggiungendo elementi a lui molto cari: parliamo di un’impostazione estremamente vicina al grottesco e, vuoi per il genere, vuoi pure per il personaggio, al surreale; in più, la totale assenza di regole e di un sistema affidabile all’interno dell’universo narrativo di Lamù ha sempre lasciato sottintendere l’idea politica di Oshii. Un'idea che è evidente anche in altre opere, come L’uovo dell'angelo, e che potremmo definire abbastanza vicina a un anarchismo convinto.
Per lo Studio Pierrot, nel 1984 Oshii ha diretto anche Dallos, miniserie scritta a quattro mani con Hisayuki Toriumi e primo OAV (anime distribuiti direttamente sul mercato home video) della storia. Nel giro di pochi mesi, Oshii ha firmato il suo primo manga per la rivista Animage, intitolato Todo no tsumari. È particolarmente importante questo contatto con la Animage per un motivo semplicissimo: la rivista, che per un periodo è stata anche supervisionata da Toshio Suzuki, storico produttore dello Studio Ghibli, era pubblicata dalla Tokuma Shoten. Ed è stata la stessa Tokuma Shoten a produrre L’uovo dell’angelo. Tra l’altro, e questo è un dettaglio piuttosto interessante, la Tokuma Shoten, su Animage, ha pubblicato anche il manga di Hayao Miyazaki, Nausicaä della Valle del Vento, poi adattato nell’omonimo film, e ha partecipato attivamente alla fondazione dello Studio Ghibli.

L’uovo dell’angelo, uscito per la prima volta nel 1985, quindi quarant’anni fa, è stato importante all’interno della carriera di Oshii, come abbiamo detto all’inizio, perché è stato il suo primo film completamente indipendente. Non legato, cioè, a un’IP (proprietà intellettuale, ndr) già conosciuta o già esistente. Per L’uovo dell’angelo, Oshii ha collaborato con Yoshitaka Amano, leggendario illustratore e character designer giapponese, che si è occupato dei disegni e della direzione artistica. Per la critica, L'uovo dell'angelo è diventato una sorta di bibbia per interpretare e analizzare il lavoro di Oshii. E non ci stiamo riferendo, ovviamente, solo a quello che ha fatto successivamente, come il già citato Ghost in the Shell, rappresentante tanto di un certo cinema di genere quanto di un’animazione più ricercata e tecnicamente più articolata. L’uovo dell’angelo, che dura circa settanta minuti, è ambientato in un mondo distopico, dove la razza umana è costretta a sopravvivere in un angolo di terra e dove piove costantemente.
I due protagonisti sono una bambina e un ragazzo: la prima si prende cura di un uovo e vuole proteggerlo; il secondo, invece, è un soldato. Nel film, si notano anche dei pescatori, che danno la caccia alle ombre di pesci giganteschi. Ma più che esseri umani veri e propri sembrano fantasmi: figure che attraversano il racconto riempiendolo di suoni e di rumori, spaventando la bambina e lasciando completamente indifferente il ragazzo. Fanno quasi parte, sotto un certo punto di vista, dell’ambientazione: la corsa spasmodica per la caccia, per l’autocompiacimento e l’autoaffermazione; la lotta senza senso contro degli esseri che non esistono e che, tuttavia, rappresentano qualcosa. Un tempo oramai andato, di cui pochissimi conservano un ricordo.
L’uovo dell’angelo è pieno di simbolismo: dalla religione cristiana ed ebraica a riferimenti più o meno spiccati della tradizione fantascientifica. Senza poi considerare il limbo quasi dantesco a cui sembrano essere stati condannati i pescatori di cui parlavamo prima, cavalieri che combattono contro i mulini al vento non per un malcelato idealismo ma perché meccanicamente convinti di star facendo la cosa giusta. Di più: di star adempiendo al proprio compito. Una critica, nemmeno così velata, alla società giapponese degli anni Ottanta, divisa in modo netto tra carriere e ruoli. L’uovo dell’angelo è un’opera particolarmente intensa, anche se non ci sono molte battute. Buona parte del film, infatti, è avvolta dal silenzio. I visi della bambina e del ragazzo sono solo apparentemente belli e affascinanti; in realtà, nella loro espressività quasi immobile e nei loro sguardi vacui risiedono la tragedia della guerra e il dolore della solitudine.

C’è, poi, un contrasto evidente tra le loro figure: se la bambina è piccola, con capelli lunghi e biondi e una pelle bianchissima, il ragazzo è più alto, con una pelle più scura e vestiti decisamente più ordinati. Se lei va in giro con un uovo, scalza, lui va in giro con una strana arma: una via di mezzo tra un fucile e una croce. Dal punto di vista tecnico, L’uovo dell’angelo rappresenta chiaramente una sintesi tra la visione di Oshii (e di Amano) e le effettive risorse produttive. Ci sono molte scene ambientate al buio. E ci sono tantissimi fermo immagine. A parte i due protagonisti, il mondo in cui è ambientata la storia – che sembra, nella sua forma, un’enorme arca – è spesso caratterizzato da una bicromia netta, tra blu e bianco o tra blu e nero. In questo modo, la storia sembra procedere solo grazie ai movimenti dei due personaggi principali.
Ma che cosa ci dice L’uovo dell’angelo di Oshii? Ci ricorda innanzitutto il suo interesse per gli esseri umani presi nella loro individualità e nelle loro contraddizioni, una cosa abbastanza unica per il cinema giapponese dell’epoca, abituato – come altre arti – a ragionare a partire dal senso di comunità. E poi L’uovo dell’angelo ci ricorda l’importanza che la fisicità dei corpi ha nella costruzione stessa del racconto. Oshii, contrariamente ad altri autori e registi, si è sempre affidato ai silenzi e a queste straordinarie bolle di attenzione in cui, volenti o nolenti, finiscono i suoi protagonisti. La sua regia cerca gli occhi, le espressioni, questi corpi definiti con volti bellissimi, che conservano dentro di sé una tensione palpabile. Per molti versi, L’uovo dell’angelo può essere visto come un esperimento. Ma è anche l’affermazione di un autore complesso e moderno come Oshii, che con le sue storie ha finito per condizionare profondamente non solo il cinema giapponese ma quello di tutto il mondo.
L’uovo dell’angelo è uscito nel 1985, mentre il Giappone si preparava a cambiare ancora una volta, in VHS. Solo dopo qualche mese, è stato proiettato al Tōhei Hall di Shibuya. Commercialmente, si trattò di un insuccesso. Ed è un dettaglio da non sottovalutare. Per la critica, al contrario, rappresentò la definitiva consacrazione di Oshii e della sua poetica come autore. A causa dei risultati de L’uovo dell’angelo, Oshii faticò molto a trovare un altro lavoro. Ghost in the Shell, uscito dieci anni dopo, nel 1995, è stata un’occasione per Oshii per poter finalmente sviluppare un film con risorse e budget importanti. Spesso, lo stesso Oshii ha paragonato L’uovo dell’angelo e Ghost in the Shell a due figlie: la prima sfortunata, la seconda al contrario decisamente più ricca. Quello che ci dice in modo abbastanza incontrovertibile L’uovo dell’angelo è che le storie che Oshii vuole raccontare non sono storie canoniche. Sono al contrario storie sperimentali, fortemente autoriali, che più che a compiacere il pubblico puntano a mettere in scena una determinata sensazione e una determinata idea.

L’atmosfera ne L’uovo dell’angelo è fondamentale. Le immagini ci parlano di un mondo onirico, lontano, decisamente surreale. Al contrario la colonna sonora di Yoshihiro Kanno, che ha cominciato la sua carriera scrivendo musica da camera, parla al nostro inconscio più profondo, alla nostra sensibilità e, soprattutto, alle nostre pulsioni più oscure. Questi cori, che sono uno dei grandi protagonisti del film, sembrano provenire da un altro mondo. Un mondo in cui Oshii e la sua visione sono assoluti.
L’uovo dell’angelo di Mamoru Oshii sarà nei cinema italiani, per la prima volta, dal 4 al 10 dicembre distribuito da Lucky Red. La versione che verrà proiettata sarà quella restaurata in 4K. Il film sarà disponibile sia in lingua originale, con i sottotitoli in italiano, sia con il doppiaggio italiano. Sul sito di Lucky Red, è disponibile la lista completa delle sale che programmeranno L’uovo dell’angelo.