di Gianmaria Tammaro
Il nuovo film di Park Chan-wook, al cinema dal 1° gennaio con Lucky Red, è un ritratto della società coreana, con le sue contraddizioni e le sue assurdità. Da una parte si fa largo un racconto più feroce, a tratti macabro e respingente; dall’altra, risplende una comicità sottile ma costante, che ribalta luoghi comuni e punti di vista. Al centro della scena si muove un personaggio che viene privato di qualunque cosa, minuto dopo minuto, e a cui non viene lasciata nessuna scelta. L’approfondimento.

Park Chan-wook è un regista unico del suo genere. Innanzitutto perché è il rappresentante – uno dei rappresentanti, anzi – di un cinema coreano capace di conquistare il mondo e gli spettatori, andando oltre i circuiti festivalieri e gli eventi più settoriali. E poi perché, nei suoi film, a prescindere dalla storia o dal linguaggio scelto, riesce sempre a inserire sé stesso: la sua visione; il suo modo di considerare le cose e le persone; la sua abilità nel leggere l’altro, nel ridurre al minimo, all’essenziale, questioni apparentemente enormi e assolute; la sua voglia sincera, spassionata, di usare il cinema come strumento per raccontare una storia con una sua riconoscibilità e una sua forza. Nel giro di più di trent’anni, Park Chan-wook ha diretto “appena” dodici film ed è passato dall’action più puro al dramma e alla commedia. Visivamente, le sue opere sono accomunate da una visione precisa, facilmente riconoscibile per il modo in cui vengono inquadrate le figure e per l’attenzione che viene data alla costruzione delle singole immagini.
No other choice, in sala dal 1° gennaio con Lucky Red, non è un’eccezione ma, al contrario, una conferma. Una conferma del suo talento, della sua voracità artistica e di quanto alla fine il cinema sia sempre politico. Al di là del tema principale della trama, dei protagonisti e dell’ambientazione stessa. La politica dell’autore – di Park Chan-wook, in questo caso – sta nell’espressione del suo punto di vista attraverso il suo lavoro, senza essere didascalico o qualunquista, senza cedere a un certo cerchiobottismo creativo. No other choice racconta la storia di un uomo, interpretato da uno straordinario Lee Byung-hun, che deve provare a tenere insieme i pezzi della sua vita. Un giorno, quasi all’improvviso, viene licenziato: lui che si è sempre speso al massimo per il suo lavoro in questa azienda cartaria. Tutto quello che ha costruito nel corso degli anni – la sua famiglia, la sua casa; la sua serra per le piante – rischia di sparire. Deve fare qualcosa. Deve trovare un modo per proteggere la sua quotidianità. E così prende una decisione drastica.
No other choice è una black comedy, e gioca proprio con il senso di morte e di grottesco. Park Chan-wook toglie tutto al suo protagonista; lo distrugge. In alcuni momenti, sembra addirittura accanirsi contro di lui. Questo sbilanciamento apparente serve in realtà a innescare il meccanismo della comicità, ponendo un personaggio abbastanza improbabile in situazioni estreme, al di là della sua portata e della sua indole. Gelosia, ossessione, apatia: Park Chan-wook mescola ogni cosa, ripetutamente, non dando mai respiro al protagonista del film. Sono evidenti i riferimenti alla società e alla cultura coreana, ed è evidente anche la critica che Park Chan-wook fa a un certo capitalismo, spento e privo di qualunque valore, e a una certa borghesia, sempre più impigrita e insofferente. Con No other choice, viene messa sotto processo quest’idea assurda, insana, che associa la felicità, la vera felicità, alla proprietà e al concetto di “possesso”.

Il protagonista del film è vittima della sua stessa storia: uno che si è fatto da solo, che si è laureato in chimica mentre già lavorava; che ha sposato una donna divorziata, con un figlio, e che ha ricomprato la casa dei suoi genitori. Un uomo che ha un unico, grande punto debole (come gli dice la moglie, interpretata da Son Ye-jin): la sua passione per le piante. E le piante sono uno degli elementi fondamentali che compongono l’estetica, il linguaggio visivo, di No other choice. Insieme alle piante ci sono l’arredamento, una divisione studiata degli spazi e un utilizzo intelligente della luce, che permette di passare da tonalità più intense, come il bianco accecante del giorno, a tonalità più scure e fumate. C’è, in alcune inquadrature, un’artificiosità grafica, puramente superficiale, che dona alle sagome e agli oggetti in scena una consistenza quasi plastica.
Nella spirale discendente che diventa la sua vita, il protagonista di No other choice finisce per ricorrere più volte alla violenza. Eppure è ridicolo, mai in grado, mai perfettamente sicuro di quello che sta per fare o che, addirittura, sta già facendo. Rischia di perdere anche il rapporto con sua moglie e con i suoi figli. Si lascia travolgere dalla gelosia e dai dubbi. Rivede la propria vita in quella degli altri, dei suoi ex-colleghi, di quelli che, come lui, sono rimasti senza lavoro e che ora devono provare a ricominciare. In questo è piuttosto evidente, ancora una volta, la forte appartenenza del racconto a una dimensione specifica come quella della società coreana.
L’umorismo sottile ma costante della storia di No other choice non è un elemento secondario o aggiunto successivamente; determinate dinamiche, come quelle più assurde e spiazzanti, sono sorrette da questa ironia e da questo modo buffo, al limite del surreale, di provare a razionalizzare situazioni assolutamente inconcepibili (per dirne una, e non è uno spoiler: come fare a nascondere un cadavere dopo aver capito di non essere disposti a farlo a pezzi). Oltre a questi livelli di lettura, ce ne sono altri. Alcuni più palesi di altri. La famiglia del protagonista non è la sua ancora di sicurezza e nemmeno un’alleata a cui, occasionalmente, affidarsi. C’è una connivenza assurda, tacita, che rende la solitudine del personaggio, così deciso nel portare a termine il suo piano per ritrovare lavoro, ancora più profonda e nera. Senza via d’uscita, praticamente.

In poco meno di due ore, Park Chan-wook costruisce un mondo familiare, a suo modo credibile, in cui la vita di un uomo qualunque si trasforma nella missione di un assassino senza pietà, intenzionato unicamente a eliminare la competizione (non è uno spoiler: è praticamente la premessa del racconto, insieme al lungo prologo con cui vengono presentati il protagonista, la sua famiglia e la casa dove abitano). Insieme alla critica più feroce e dichiarata alla società e a questa idea asfissiante di successo, c’è una presa in giro costante, più evidente, a quelle che sono dinamiche più semplici e diffuse. Come la retorica, a volte davvero straniante, con cui chi perde il lavoro viene trattato. O anche le relazioni più intime tra moglie e marito, che di colpo, non avendo più punti di riferimento, non riescono a mentirsi o a fingere come facevano prima, quando le cose andavano più o meno bene.
No other choice sembra muoversi in più direzioni contemporaneamente: in verticale, costruendo un racconto stratificato, che parla della dimensione del singolo e della società e che prende in esame l’ipocrisia di una certa imprenditoria; e in orizzontale, concentrandosi su relazioni più intime e personali, come quella tra coniugi o quella tra genitori e figli. No other choice pone delle domande abbastanza precise, come quella sul nostro rapporto con gli altri, con il loro giudizio, e sul rapporto che abbiamo con noi stessi, ma non dà mai una risposta. E non perché non ne abbia. Ma proprio perché Park Chan-wook prova, in questo modo, a rimettere al centro il pubblico. Ci offre un quadro estremo, un quadro dove non sembra esserci la benché minima traccia di speranza, e poi, proprio negli ultimi minuti del film, ci dice che cosa succede ai protagonisti. Senza celebrazioni, senza epiloghi prolungati e asfissianti. I fatti, più o meno. Con l’ennesima, ferocissima stoccata alla società, che finché non è direttamente coinvolta, finché non è toccata nel vivo, accetta qualunque cosa e qualunque spiegazione. Anche la più terribile. L’importante non è avere più di una scelta; l’importante è poter credere di essere liberi. E sta qui, se vogliamo, l’universalità di No other choice.

No other choice di Park Chan-wook sarà al cinema dal 1° gennaio con Lucky Red. Per trovare la sala più vicina, consultate il sito ufficiale. Qui.